Mombracco: la montagna di Leonardo

La roccia è il ricordo più intenso che ci si porta a casa dal Mombracco. Il suo tocco ruvido, il calore che sprigiona al sole anche in una giornata d’inverno, la solidità sotto i nostri passi; e poi il suo colore che sveste la montagna e la offre nuda alle nuvole e ai falchi, lasciando gli alberi a guardare alle pendici delle dorsali panoramiche.

Il muretto a secco che sostiene u castagno, il pavimento su cui scorre un ruscello che cerca la valle, la casa di uomini industriosi, il sogno di un grande artista. Il Mombracco, della roccia, ha quel sapore di grezzo e primitivo, una sensazione di solido e di arcaico. Di un mondo a cui non apparteniamo più del tutto, ma che ci rigenera ogni volta che ci lasciamo rapire.

Le vie del Mombracco | Mattia Bianco, Cristian Mustazzu | Fusta Editore 2019| 160 pp | 17.90€

Siamo sulle Alpi Cozie, ai piedi di quel gigante di pietra, il Monviso, che con la sua piramide illumina l’inizio della pianura padana per chilometri e chilometri. E da quassù, nelle mattine soleggiate, se ne gode una vista semplicemente impareggiabile. I sentieri della roccia conducono a Balma Boves, dove contadini e spaccapietre hanno costruito le proprie case al riparo di enormi massi che li proteggevano dai temporali e dalla neve.

Sembrano memorie di un mondo antico, ma di antico hanno poco. Non certo le date: Giovanni Elne ha dormito per l’ultima volta nel suo giaciglio sotto la roccia nel 1961.

Come la sua ci sono molte altre storie, sotto il Mombracco. Come quella di chi, da bambino, raccoglieva le scaglie di quarzite che cadevano sui sentieri, gli scarti delle cave sulla cima del monte. Quella pietra bianca, assai più dura dello gneiss che copre i fianchi del Bracco, poteva incidere con facilità i grandi massi. Lo sapevano i bambini, che nei loro giochi convivevano con le incisioni fatte da uomini primitivi nel Neolitico, dove la valle si distende ai piedi dell’osservatore, le stesse che oggi stupiscono i visitatori. I bambini si divertivano a copiarle, a incidere il proprio nome, e forse hanno ingannato qualche ingenuo studioso confondendo i propri giochi con le tracce della preistoria.

Siamo sulle Alpi Cozie, ai piedi di quel gigante di pietra, il Monviso, che con la sua piramide illumina l’inizio della pianura padana per chilometri e chilometri. E da quassù, nelle mattine soleggiate, se ne gode una vista semplicemente impareggiabile

Lasciati i paesi alle spalle, presa la via della montagna, i sentieri salgono in diagonale per superare i salti di roccia, in un ambiente tornato selvaggio. Superata la boscaglia, superati i castagni da frutto e i noccioli, il monte si spoglia e lascia vagare lo sguardo sulle sue gole ripide, sulle vallette che scendono dalla vetta, e poi su tutta la valle del Po incastrata tra le Alpi; e ancora, sull’inizio della pianura Padana, una distesa di coltivi che come un mare piatto sembra fermato proprio dal Mombracco, uno scoglio insuperabile che conduce dritto al Monviso.

 

La montagna di Leonardo

È forte la suggestione che il sommo pittore e inventore fiorentino, Leonardo da Vinci, abbia ammirato il cielo della valle Po tale e quale a quello che osservano i nostri occhi. Le tracce che conducono a lui sono due, sono evidenti e inequivocabili.

Questa montagna tornata selvaggia suggestionò Leonardo Da Vinci. Il genio del Rinascimento italiano sperava di ottenere una tavoletta della preziosa quarzite bianca come il marmo che affiora sulla sua vetta

Il Mombracco non era sconosciuto all’autore della Gioconda, che in una nota scrisse di questa montagna assolata e della sua pietra dalle sorprendenti qualità. Il Maestro scrisse di una montagna sopra Saluzzo, un miglio a monte della Certosa, ai piedi del Monviso. E scrisse di una sua miniera di pietra “faldata”, bianca come il marmo di Carrara, senza alcuna macchia, ma dura come il porfido o anche più. Annotò, nel manoscritto, che Benedetto Briosco aveva promesso di fargli avere una piccola lastra di questa pietra da utilizzare come tavolozza per amalgamare i colori, e che un arrotino torinese ne aveva alcune “berettine forte dure”.

Briosco, scultore suo amico, risiedeva a Saluzzo, e vagava per monti e valli alla ricerca di vetriolo e di allume per poterli sfruttare con delle miniere.

Chi sa se Leonardo, negli anni successivi, ricevette mai la pietra cavata dagli uomini di Barge, o se egli stesso venne a prendersela. Al fondo delle poche righe, il cui originale è conservato a Parigi, è annotata la data 5 gennaio 1511.

Le poche parole che scrive, non confermano e non escludono la sua visita in quei giorni, o magari negli anni precedenti. Che sono gli anni in cui doveva essersi diffusa la notizia di un traforo, forse il primo, scavato nella nuda roccia attraverso le Alpi per accorciare e semplificare il tragitto dei mercanti. Era forse sufficiente a suscitare la curiosità dell’uomo di scienza?

La seconda traccia che Leonardo, o la sua fama, ha legato al Mombracco, dopo 500 anni non ha smesso di deliziare i visitatori. È un affresco dell’Ultima Cena che si trova nella Cappella Marchionale di Revello

La seconda traccia che Leonardo, o la sua fama, ha legato al Mombracco, dopo 500 anni non ha smesso di deliziare i visitatori. È un affresco dell’Ultima Cena che si trova nella Cappella Marchionale di Revello. Lo sfondo, l’esatta disposizione dei personaggi, addirittura la scelta dei colori: tutto rimanda al modello insuperato del Cenacolo che Leonardo da Vinci dipinse nel refettorio del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie, a Milano.

La sua data è il 1519, di poco successiva a quel 1511 che Leonardo ha vergato sul manoscritto parigino. Il dipinto non compete con il suo modello per la profondità del campo, per la luminosità e per il movimento che permea la scena, ma chi lo dipinse doveva avere bene in mente la parete del refettorio milanese.

L’unica traccia del suo passaggio in Piemonte che pare certa, è il disegno del Naviglio d’Ivrea, all’interno del Codice Atlantico che si trova nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il resto sono collegamenti: Benedetto Briosco, le frequenti visite a Milano dei Marchesi di Saluzzo, negli anni in cui Leonardo vi risiedeva; gli stretti rapporti tra la corte saluzzese e quella degli Sforza e di Francia, la quale successe agli Sforza nel dominio di Milano, e che come la prima ospitò il Maestro; e poi una nutrita lista di nomi noti, artisti e uomini di scienza lombardi che a Saluzzo ricoprirono qualche incarico; e ancora, la relazione dello stesso Leonardo con Gioffredo Giaroli, un saluzzese illustrissimo di quegli anni.

Di certo, fino a oggi, resta solo la viva suggestione, e la speranza di trovare una traccia nuova che confermi il passaggio di Leonardo da Vinci sul Mombracco.

 

Un villaggio di pietra

Il Mombracco è disseminato di “balme” case costruite sotto la roccia per sfruttarne la protezione naturale. Case isolate, piccoli ricoveri e addirittura intere borgate. La più celebre è Balma Boves, o più semplicemente “la Barma” come viene chiamata dagli abitanti della zona, forse la più grande di tutto il Piemonte, sicuramente una delle più significative a livello nazionale.

Il Mombracco, della roccia, ha quel sapore di grezzo e primitivo, una sensazione di solido e di arcaico. Di un mondo a cui non apparteniamo più del tutto, ma che ci rigenera ogni volta che ci lasciamo rapire

Il termine balma ha origini molto antiche, forse preceltiche. Nel Medioevo indicava un “antro sepolcrale” o un “ricovero eremitico”, ma in seguito venne utilizzato per indicare un riparo sotto una roccia di grandi dimensioni, com’è ancora oggi.

Il nucleo abitativo di Balma Boves rappresenta un esempio unico di integrazione armonica tra il territorio e l’uomo, il quale grazie allo sfruttamento sapiente della natura si è reso completamente autosufficiente dagli insediamenti circostanti.

La Balma venne abitata forse già dall’età del bronzo. Gli ultimi ad andarsene, nel secondo dopoguerra, furono le famiglie Mairone, Meirone ed Elne. Fu Giovanni Elne, nel 1961, a chiudere la porta per l’ultima volta. Da allora la borgata venne frequentata solo in estate, nel periodo del pascolo.

L’accesso alla Balma, attraverso alcuni sentieri lastricati, con muretti in pietra a secco e lose conficcate verticalmente nel terreno, nell’ultimo tratto si carica di un fascino quasi spirituale: il percorso transita tra la roccia nuda e l’acqua di una cascata che compie un salto di oltre 20 metri.

Dopo anni di abbandono oggi Balma Boves è una una borgata-museo ristrutturata per aiutare a comprendere le peculiarità dell’ambiente nel quale è immerso. Le stalle, le cantine a volta e i fienili ricavati sfruttando i tetti piani delle abitazioni, invitano a scoprire i prati terrazzati dove si falciava il fieno e i pascoli sospesi tra le rupi dove in estate si trasferivano gli armenti. Il nero del fumo, ancora visibile sulle rocce e sulle lose dei tetti, indica la presenza dei secou, gli essiccatoi per le castagne, che raccontano del sapiente utilizzo del castagno, una fonte di sostentamento essenziale per gli abitanti del luogo.

Gli strumenti da lavoro che si osservano, come le lese (slitte), le cabase e i gherbioun (due tipi di gerla), sono il ricordo della faticosa vita dei montanari. La fontana, il forno e le aie, spazi comuni della borgata, riportano alla solidarietà necessaria alla sopravvivenza di un nucleo di famiglie in un ambiente così difficile. Leggendo attentamente gli indizi racchiusi in questa antica borgata, e con un piccolo sforzo di immaginazione, si rivive e la vita di cinquanta, cento, mille e più anni fa.

La rinascita di Balma Boves come borgata-museo, ha favorito in anni recenti una parziale riqualificazione del territorio circostante: il mantenimento del castagneto da frutto, l’allevamento delle api per la produzione del miele, l’insediamento di allevamenti caprini e bovini e la coltivazione dei piccoli frutti. Un modo per ripercorrere ed assaporare una storia nemmeno troppo lontana.

 

L’antico vulcano

Vedere il Mombracco imbiancato è un evento molto raro: sul monte, infatti, la neve fonde ben prima che altrove. E la spiegazione c’è eccome. Secondo una voce popolare, il Bracco sarebbe un vulcano ormai spento. “Avete mai visto la neve sul Mombracco?” è l’argomento inconfutabile che mette fine a ogni conversazione.

L’unico indizio della sua attività è proprio il calore della montagna, perché all’alba dei tempi San Giacomo ci ha messo lo zampino per salvare le popolazioni della valle. Il santo pellegrino, vestito di tunica e bordone, si trovava a passare proprio da queste parti quando dal vulcano presero ad alzarsi lingue di fuoco e zampilli incandescenti. L’apostolo prese quindi la zucca che aveva appesa al bordone, una zucca riempita dell’acqua che portava con sé per dissetarsi; gli abitanti dei paesi attorno al monte lo videro versare l’acqua nel cratere della montagna fino a quando con una colonna di fumo il fuoco tacque. Si dice, poi, che proprio quell’acqua alimenti la fontana dei Duch, nell’alta valle, ma questa è un’altra storia.

San Giacomo non andò lontano. Il 25 luglio proprio sul Mombracco si celebra una festa in suo onore, e non molti anni fa poteva capitare, in un giorno di pioggia, di sentir dire: “San Jacou versa la bouta”, e rispondere: “E Sant’Ana la béouv” (“San Giacomo versa la bottiglia”, “E Sant’Anna la beve”).

Volete conoscere la verità? In inverno, quando il sole è più basso sull’orizzonte, i suoi raggi colpiscono le pareti verticali del Mombracco con un angolo di incidenza ben maggiore rispetto alle pianure, e questo produce un gran calore; è il motivo, ad esempio, per il quale in inverno e autunno la montagna è così frequentata da scalatori ed escursionisti, e per cui viene prediletta dagli appassionati di volo a vela. Ma in fondo nessuno vuole che una tradizione così pittoresca scompaia dalla memoria.

 

La guida

Naturalmente su questa guida sono di parte. Posso dire che io e Cristian Mustazzu l’abbiamo scritta come vorremmo leggere ogni guida escursionistica. Sono 16 itinerari, a piedi e in mountain bike, su questo monte straordinario affacciato sul Monviso, il Re delle Alpi Cozie. L’itinerario principale è un anello che percorre l’intera circonferenza del Mombracco; i più allenati possono farlo in un giorno ma lo si può spezzare pernottando dove un tempo sorgeva il monastero della Trappa. Da ognuno dei Comuni alle pendici del monte parte un itinerario di collegamento all’anello e diversi itinerari alternativi.

 

Andare, dormire, mangiare

Tre consigli secchi. L’associazione Vesulus accompagna escursioni guidate alla scoperta del Mombracco. Alla Locanda della Trappa si può mangiare e pernottare proprio alla partenza di molti itinerari. Prima e dopo le camminate, all’agriturismo La Virginia si può pernottare e mangiare gli squisiti piatti tipici della zona.