C’è una linea molto sottile che separa la felicità e la consuetudine. Uno cammina e calpesta l’uno e l’altro giardino, ma se tiene gli occhi bassi sui suoi passi spesso non si rende conto di quale dei due stia attraversando. L’erba che calpesta ha lo stesso colore, ma la scelta di uno o dell’altro fa la differenza tra la felicità e la ripetizione di un presente un po’ noioso.

Si somigliano così tanto che per tutta la vita possiamo non sapere che i giardini sono due. Ci si deve fermare e alzare lo sguardo per capire da quale parte stiamo. Ci si deve fermare: dare un’occhiata non basta mai.
Ho incontrato Andrea Toniolo nel 2018 allo Slow Travel Fest di Monteriggioni, il più bel festival italiano dedicato al viaggio lento. Il 23 settembre del 2012 Andrea si è fermato all’improvviso, ha alzato lo sguardo e si è reso conto che stava camminando dalla parte sbagliata. Quando un’auto gli ha tagliato la strada e lui è stato disarcionato dalla moto, ha capito che l’orizzonte a cui aveva guardato fino ad allora era troppo vicino. Aveva una vita normale, tutto andava “come doveva andare”.
Quando siamo infelici è facile capire che qualcosa deve essere cambiato, ma quando tutto va per il verso giusto è legittimo e saggio non farsi domande e continuare a seguire la strada mettendo da parte le proprie ambizioni.
La storia di Andrea ha poco a che fare con il “mollo tutto” o il “cambio vita”, ma ha molto a che fare con le ambizioni umane e la ricerca della felicità.
Ricominciare da un sogno
Prima di quell’incidente Andrea si guadagnava da vivere giocando a calcio. Gambe buone, un buon cervello, i sacrifici per arrivare a un buon livello. Una fidanzata e una bella famiglia. Oggi invece di giocare a calcio corre: se non ci fosse altro da aggiungere, Andrea sarebbe uno sportivo che decide di cambiare attività. Quello che rende la sua scelta speciale è proprio la domanda che lo ha portato lì: è sufficiente che tutto vada bene per poter dire che siamo felici?
Mancava qualcosa! Sentivo la necessità di svegliarmi al mattino con l’idea di rincorrere un sogno con tutte le mie forze e mettere l’anima e tutto me stesso in un progetto scarutiro da un’idea pura e libera da pregiudizi.
Il suo sogno era fare un viaggio di corsa, un lunghissimo viaggio trainando un carretto. Un’avventura, come la chiama lui. «Forse – mi racconta – la scelta di correre per trovare la felicità è una sorta di fuga. Forse è proprio così». Ma resta comunque la sua scelta.

Inizialmente aveva pensato di attraversare tutta l’Italia in più di 3000 chilometri, ma poi scoprì che l’idea non era proprio originale: un certo Marco Chinazzo ci aveva già pensato. Andrea e Marco sarebbero diventati amici e compagni di squadra, allenamenti, gare di trail sulle lunghe distanze e tantissimo sudore. Ma serviva una nuova idea.
Immaginate Andrea in una stanza davanti a un planisfero, con in mano uno spago lungo come l’itinerario che avrebbe voluto percorrere in Italia. Punta lo spago sulla sua casa e traccia una circonferenza, ma purtroppo al suo interno non c’è niente che lo stimoli. Così alza gli occhi, e capisce che per trovare un punto di arrivo che possa diventare un obiettivo deve superare il primo limite che si è imposto. E così sceglie Capo Nord.
Non sono né un atleta professionista né un supereroe. Dato che il percorso è iniziato da una base atletica normalissima, posso essere l’incarnazione del detto Volere è potere.
Qualcosa da imparare
Il giorno 1 del suo lunghissimo viaggio è il 19 aprile 2015. Nei due anni e mezzo stanno tra l’incidente e la partenza Andrea si è allenato, ha sudato come un matto ed è diventato un runner con risultati oltre le sue aspettative e un sogno sempre ben piantato in testa.
Ora immaginate Andera con le stampelle, la caviglia ingessata, immaginatelo davanti a una persona a dirgli: «Vorrei che tu diventassi il mio allenatore per andare a Capo Nord di corsa». il suo interlocutore guarda la gamba.
«Hai mai praticato la corsa?».
«No, gioco a calcio».
Dopo diverse risate, un uomo gli ha detto di sì. Eccetera eccetera.
È forse da considerare un pazzo una persona che ha inseguito un percorso denso di difficoltà e soddisfazioni raggiungendo un obiettivo prefissato? Credo che piuttosto si possano ritenere dei pazzi coloro che pur avendo un sogno nel cassetto decidono di non lottare per realizzarlo.
Il 19 aprile 2015 Andrea è partito attorniato dai propri amici, da chi lo incitava e dai dubbi di chi credeva che non ce l’avrebbe fatta. Oggi ha alle spalle Capo Nord e l’Islanda, e diversi incidenti gravi dai quali si è sempre ripreso senza piegare la schiena. Lavora 40 ore a settimana e si allena 25. «Le gambe sono importanti, ma è la testa che fa la differenza. Io sono la prova vivente del detto “volere è potere”».
Quando l’ho incontrato, Andrea aveva un obiettivo: 2000 chilometri in bici per promuovere il turismo sostenibile. Quando le ginocchia danno qualche problema, un campione cambia mezzo per raggiungere comunque il suo fine. Un mese dopo, quell’obiettivo è un successo.
PS Grazie a Mario Llorca per tutte le immagini!